La Crocifissione, opera d’ignoto frescante marchigiano-Romagnolo, databile al secolo XIV, è il dipinto più antico della Chiesa del Suffragio e riconduce alle origini stesse della chiesa.
L’affresco, collocato sopra l’altare maggiore, nella parete di fondo del presbiterio, era in origine sistemato molto più in basso. Fu elevato nel 1710, allorché si diede sistemazione all’intera parete con l’esecuzione degli stucchi del bolognese Giuseppe Mazza.
Iconograficamente l’artista propone lo schema più diffuso di crocifissione, quello in cui compaiono il Cristo crocifisso, i dolenti (la Vergine e l’Evangelista) e, inginocchiata ai piedi della croce, la Maddalena. Tre angioletti raccolgono, in volo, il sangue che esce dalle ferite di Cristo.
Una raffigurazione dunque che non punta a colpire con l’agitata scena di un Calvario affollatissimo e paesaggisticamente definito, ma che porta in primo piano il dramma e la solitudine dell’uomo nell’ora della morte e fa risuonare la ultime angosciose parole del Figlio di Dio.
Una raffigurazione che, sottratta al tumulto di quanto di spettacolare c’è anche nella morte, individua nell’essenzialità di poche immagini quanto basta a far risuonare, nell’animo del credente, dolore, mistero, fede. Il frescante conosce, magari solo indirettamente, attraverso i disegni, i modelli dell’Arena padovana, guarda ai riminesi come ai suoi più prossimi e diretti maestri, e traduce in quel suo linguaggio immediato e popolaresco, ma non privo d’efficacia e di vis drammatica, quanto ha potuto fare proprio del linguaggio di quei titani.
— testo di Guido Ugolini