La presenza di un dipinto, o meglio di un altare, il primo a sinistra, dedicato a S. Ignazio di Loyola testimonia chiaramente di rapporti che vi furono fra la Chiesa del Suffragio e i Gesuiti,rapporti che però non sono ancora emersi dai documenti e quindi non precisabili.
L’altare, adorno di un’ancona lignea policroma a frontone spezzato e sorretto da colonne corinzie redentate, mostra nella cimasa l’emblema dell’ordine gesuitico, e cioè il raggiante monogramma IHS (iniziali in lingua Greca del nome di Gesù), che Ignazio adottò da S. Bernardino.La tela dell’ancona è opera del fanese Giovanni Francesco Giangolini, attivo, come il fratello Bartolemeo, nella prima metà del secolo XVII. Dei due pittori non si conosce gran che, la paternità di alcuni dipinti visibili in varie chiese cittadine è loro assegnata sulla base di indicazioni fornite da vecchie guide, dalle quali si apprende anche dell’alunnato di Bartolomeo presso al bottega del bolognese Ludovico Carracci. Ed in verità l’ammiccamento al dato naturalistico e l’intento di raggiungere valori di intima e devota umanità paiono essere gli elementi che caratterizzano anche la nostra tela, che si fa in tal modo significativa testimonianza degli umori e degli orientamenti culturali che più stimolavano gli artisti fanesi del primo Seicento.
L’episodio raffigurato è ben noto: “S. Ignazio prega in una cappella ai margini della strada durante il suo viaggio a Roma; davanti a lui appare il Cristo con la croce sulle spalle e le parole – Ego vobis Romae propitius ero -. Fuori della Cappella attendono i compagni del Santo” (J. Hall). E’ la visione che, narrata dal nostro pittore con qualche lieve variante (presenza dell’Eterno Padre e dello Spirito Santo – mancanza delle parole – lontananza dei compagni, già in cammino nel piccolo scorcio paesaggistico), suggerì al Santo, come ebbe a scrivere lui stesso di intitolare a Gesù il suo ordine.
— testo di Guido Ugolini